Un «governo del popolo» per garantire pari opportunità, se non uguaglianza. Ma anche un governo con ambizioni sfrenate di grandezza per il dopo Brexit, determinato – almeno nella speranza delle parole – a riportare il Regno nato dalle ceneri dell’Impero britannico a «svettare sul mondo»: magari con un tocco di «magia». C’è tutto Boris Johnson, la sua verve, la sua retorica, la sua capacità di suscitare ottimismo (o illusioni, a seconda dei punti di vista), nel comizio che ha segnato oggi il culmine di un tour di celebrazione della vittoria elettorale di giovedì nel profondo nord dell’Inghilterra: cuore di quel ‘muro rossò di collegi storicamente laburisti, ma in maggioranza euroscettici, dove i Tory del premier brexiteer hanno fatto breccia alla grande. BoJo vi è sbarcato con il passo del vincitore: baldanzoso, per quanto ecumenico e magnanimo in alcune espressioni. Comunque deciso a spargere sale sulle ferite del Labour di un Jeremy Corbyn sconfitto e sul viale del tramonto. Come pure a beffarsi di quel Tony Blair che nelle ultime settimane aveva provato a far campagna – al fianco di John Major – al grido di «chiunque tranne Boris», invocando strategie da «voto tattico» anti Brexit rivelatesi in fin dei conti un flop. «Uomini del passato», li aveva liquidati Johnson, che non a caso ha deciso di suggellare a cose fatte la sua marcia trionfale fra la working class di Sedgefield: a lungo collegio blindato di Blair nella contea di Durham, espugnato per la prima volta dopo 84 anni. Una rivoluzione «storica» che il primo ministro confermato dalle urne assicura di non voler tradire. «Noi crediamo che i talenti siano distribuiti uniformemente nel nostro Paese, mentre le opportunità sono distribuite in modo iniquo», ha riconosciuto dinanzi a una rappresentanza plaudente di questi suoi nuovi elettori, e «intendiamo rettificare tutto ciò con un governo One Nation, un governo del popolo». Gli accenti sono di «gratitudine» verso coloro che hanno votato Tory «rompendo un abito di generazioni». Con l’impegno a ripagarne la fiducia, sulla Brexit e non solo. Fino al crescendo roboante delle promesse: «Ricostruiremo la nostra autostima, la nostra magia, la fede in noi stessi. Sarà un tempo meraviglioso per il nostro Paese, meraviglioso. E torneremo a svettare sul mondo». Pensieri e sogni che non sarà semplice tradurre in fatti. Ma che da quelle parti – nel grigiore di una realtà postindustriale toccata dalla sensazione di anni di abbandono da parte di Londra, dall’istinto isolano d’estraneità all’Europa continentale, dalla paura di un’immigrazione vista come potenziale strumento di un’economia globalizzata che punta alla concorrenza di manodopera a più basso costo – molti non vedevano l’ora di ascoltare. «Voi avere cambiato il panorama politico e avete cambiato il partito conservatore in meglio», li ha allisciati BoJo. «Ogni cosa che faremo, ogni cosa che farò come primo ministro sarà per ripagare la vostra fiducia, perché siamo i vostri servitori e le vostre priorità sono le nostre», ha giurato loro come se fossero l’unica audience, l’unico interesse da rappresentare su oltre 13 milioni di voti incassati. Del resto, per ora, il suo è l’unico messaggio su piazza – Scozia a parte, dove la leader indipendentista dell’Snp, Nicola Sturgeon chiamava nelle stesse ore a raccolta le sue rafforzate truppe parlamentari per incoraggiarle a provare a riesumare la battaglia pro secessione – in attesa di entrare nel vivo della concreta azione di governo. S’inizierà lunedì con un primo ritocco alla compagine; quindi, dopo l’inaugurazione della nuova Camera dei Comuni e l’elezione dello speaker prevista martedì, si passerà alla presentazione del programma di legislatura del Queen’s Speech, seguita dal probabile avvio a fine settimana dell’iter di ratifica della Brexit prima della pausa natalizia. Mentre al Labour non resta che prepararsi al dopo Corbyn, tra feroci divisioni interne. E l’addio annunciato oggi, una volta scelta la nuova leadership, anche da John McDonnell: cancelliere dello Scacchiere ombra e ideologo del corbynismo.(