La frattura nel governo non si ricompone: sulle concessioni autostradali e il piano per l’innovazione, il «salvo intese» del decreto rischia di diventare scontro in Parlamento. L’esecutivo, con il ministro Paola De Micheli, risponde a muso duro alla società Autostrade che in una lettera ha minacciato di intentare una causa da 23 miliardi di danni per la norma inserita nel Milleproroghe: «Inaccettabile». La scelta, confermano a fine giornata diverse fonti, è lasciare la norma nella versione finale del decreto pressoché invariata (ci sarebbe però una modifica tecnica). Ma la partita si sposta in Parlamento. Italia viva, che apre anche un «caso Sicilia», non cede: non sottoscrive la disposizione che riduce gli indennizzi a carico dello Stato in caso di revoca delle concessioni, e fa sapere al premier Giuseppe Conte che sul punto non c’è mediazione possibile. Le posizioni tra gli alleati si irrigidiscono tanto che salta il vertice che era stato ipotizzato in serata a Palazzo Chigi. M5s e Pd difendono la norma: «l’atto d’accusa» della Corte dei Conti sui concessionari – dicono – ne mostra la necessità. Di più: mentre i Dem sulla questione sono prudenti, Luigi Di Maio dice che la «revoca della concessione ai Benetton è la linea del governo, non del M5s». I rapporti in maggioranza sono tesi, tanto che i Cinque stelle – con Barbara Lezzi – attaccano la ministra Teresa Bellanova per un presunto conflitto d’interessi su fondi che sarebbero stati stornati dall’emergenza xylella. Ad aumentare il caos c’è intanto la voce – che si fa più insistente nella notte, mentre tutto il governo è alla Camera per il voto della manovra – che il ministro della Scuola Lorenzo Fioramonti (assente sia in Cdm che alla Camera) sia determinato a dimettersi a breve, per formare un proprio gruppo parlamentare filo-contiano e, in prospettiva, un nuovo soggetto politico. «Non vuole restituire i rimborsi», sibila un esponente M5s. Con Fioramonti sarebbero in uscita deputati come Nunzio Angiola e Gianluca Rospi. E l’addio, se confermato, aprirebbe un mini-rimpasto, magari insieme alla verifica di gennaio. Intanto però il lavoro del governo procede a singhiozzo. In un Cdm che cambia più volte orario per tenersi in serata, non si discute di concessioni ma passa un decreto «Salva Sicilia» che era stato osteggiato da Iv. La norma prevede che il disavanzo della Regione del 2018 possa essere spalmato in dieci anni: Iv chiede di modificare il testo o «ripristinare subito gli obblighi di risanamento che erano stati inseriti nel 2016 dal governo Renzi e cancellati nel 2018 dal governo Conte 1». Il ministro Pd Francesco Boccia sente al telefono il siciliano Davide Faraone (Iv) e difende la sua proposta. Conte sceglie di mediare e nel testo si precisa che se entro 90 giorni la Regione non sottoscrive un impegno a rispettare determinati obblighi, il termine per risanare cala a tre anni. Nel pomeriggio è il coordinatore di Iv Ettore Rosato a parlare con il premier, che cerca di mediare anche sulle norme inserite nel dl Milleproroghe. Iv non intende cedere. Sulle concessioni il ragionamento è che si rischia di fare «l’errore» commesso con la revoca dello scudo penale a Mittal per l’ex Ilva. Quanto al piano sull’innovazione digitale, osteggiato da Pd e Leu, in serata una riunione a Palazzo Chigi sembra registrare un passo avanti. M5s insiste perché passi l’intero pacchetto e la ministra Paola Pisano annuncia che le norme saranno presentate in Parlamento in conversione del decreto. Tra i nodi da sciogliere resta anche quello della prescrizione. Un vertice, spiega il ministro Alfonso Bonafede, si farà come da programma il 7 gennaio, sebbene il Pd avesse chiesto di anticipare: il primo gennaio entrerà in vigore il blocco della prescrizione e, avverte il ministro, «non si può far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta». Perciò il Pd si prepara alla via parlamentare, consapevole che nelle Aule di Camera e Senato il M5s sul tema è in minoranza. I Dem, come annuncia Walter Verini, depositano la loro proposta per inserire un termine che inizia a decorrere dopo il primo grado di giudizio entro il quale, se non si conclude l’appello, la prescrizione riprende a correre. Se non si troverà una mediazione, la spaccatura potrebbe arrivare in Aula.