L’ex premier Giuseppe Conte nel giugno di tre anni fa aveva detto davanti ai pm di Bergamo che stavano indagando sulla gestione del Covid in Val Seriana: “Ero convinto che si dovesse intervenire e anche in modo drastico dato che la Lombardia stava peggiorando seriamente e che fosse necessaria una soluzione ancora più rigorosa e complessiva, non limitata ai soli due Comuni della Val Seriana”.

Conte era stato sentito come persona informata sui fatti. Tre giorni fa si è ritrovato indagato nell’inchiesta bergamasca per epidemia colposa con l’accusa di non aver istituito la zona rossa in Val Seriana. L’ex premier ha detto ai magistrati che il 5 marzo, al termine del Consiglio dei ministri “mi è stato riferito dal segretario generale di Palazzo Chigi che era pervenuta una mail con allegata la bozza del decreto presidenziale con la proposta di istituzione di zona rossa nei Comuni di Alzano e Nembro. La zona rossa avrebbe evitato morte di 4mila persone. Non ricordo esattamente le modalità e i dettagli, ma sicuramente c’è stato un confronto con il ministro Speranza”. Il giorno dopo, ossia il 6 marzo, in una riunione alla Protezione Civile, e con gli esiti degli approfondimenti richiesti “emerse l’orientamento degli esperti di una soluzione ancora più rigorosa e complessiva, non limitata ai solo due comuni della Val Seriana”. Il 7 marzo fu elaborata una nuova bozza di Dcpm. L’8 marzo venne creata una zona arancione che comprendeva Regione Lombardia e altre 14 province e il 9 marzo fu decretato il lockdown. Anche per Speranza, pure lui passato da teste a indagato per la mancata attuazione del piano pandemico, “non si riteneva più possibile contenere la diffusione del virus in aree circoscritte. C’era invece bisogno  di misure rigorose che però avrebbero dovuto riguardare un’area molto più vasta”. Davanti agli inquirenti e agli amministratori l’ex ministro ha ricordato di aver parlato della situazione di Nembro e Alzano con Conte il 4 marzo mentre ha negato di aver mai saputo prima, in particolare in riferimento a un verbale del Cts del 26 febbraio, se in Lombardia, dopo i 10 comuni del Lodigiano, ci fossero altre aree che era opportuno delimitare ai fini della quarantena. Inoltre sia Conte che Speranza hanno dichiarato ai pm di non aver ricevuto alcuna richiesta di istituire la zona rossa in Val Seriana da Regione Lombardia, al contrario di quello che ha sostenuto il Governatore Fontana, anche lui indagato.

Agli atti dell’indagine c’è anche il quadro tracciato da Andrea Crisanti, il microbiologo ora senatore del Pd, che oltre ad aver rilevato che per “16 anni”, dal 2004 al 2020, non è “mai stata intrapresa una singola attività o progetto” per “valutare lo stato di attuazione del Piano Pandemico Nazionale” poi ‘scartato’ da Speranza e dai suoi tecnici senza che nemmeno lo avessero letto, ha sottolineato che non ci fu alcuna verifica sullo “stato di preparazione dell’Italia nei confronti del rischio” di una pandemia. Per Crisanti le cose andarono in modo diverso nei giorni 27 e 28 febbraio 2020:  il Cts e il ministro Speranza hanno tutte le informazioni sulla progressione del contagio che dimostravano come lo scenario sul campo” fosse “di gran lunga peggiore di quello ritenuto catastrofico”. E le “informazioni sulla gravità della situazione” ad Alzano e Nembro furono oggetto di una riunione del Cts del 2 marzo “non verbalizzata ufficialmente” alla presenza “del ministro Speranza e del presidente Conte”. Sempre nelle consulenza del microbiologo Andrea Crisanti depositata agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo, all’ospedale di Alzano Lombardo il Covid circolava già dal 4 febbraio 2020, più di due settimane prima della data del caso di Paziente 1,con tre pazienti infetti ricoverati nel reparto di medicina al terzo piano e uno nel reparto al secondo piano “con un quadro clinico compatibile con infezione da Sars-Cov2 poi confermata con tampone molecolare”.