Solo uniti l’ex Ilva potrà essere salvata. È il momento della responsabilità. È in questi termini che il premier Giuseppe Conte sta delineando la sua strategia per piegare la trincea del M5S sullo scudo penale. Una trincea che rischia di ricalcare le orme di quella della Tav, quando il Movimento si ritrovò sconfitto in Aula e con il sì del governo alla Torino-Lione. Non sarà facile, per il capo del governo, impegnato in una doppia partita: quella della trattativa con la multinazionale dell’acciaio e quella con il partito che lo ha designato presidente del Consiglio. C’è un duplice presupposto dal quale Conte dovrebbe partire: che lo scudo penale è necessario per mantenere a Taranto ArcelorMittal. E che la permanenza dell’azienda, nonostante lo schiaffo dato all’Italia, resta la migliore e più rapida soluzione praticabile al momento. Su questo punto sarà costretto a insistere il premier nell’incontro programmato a inizio settimana (forse martedì) con la pattuglia di parlamentari pugliesi del M5S prima del vertice con ArcelorMittal. Una pattuglia armata fino ai denti che però, già nelle prossime ore, potrebbe mostrare qualche crepa. «Anche perché, non votare lo scudo impedendone l’approvazione in Aula non solo non salva l’Ilva ma rischia di innescare una vera e propria crisi di governo», spiega una fonte di maggioranza dando il senso della drammaticità della situazione. Di certo non calma le acque l’emendamento che Italia Viva presenterà domani mattina al dl fiscale per ripristinare lo scudo penale così come era stato pensato da Matteo Renzi. Su quell’emendamento, se non verrà ritirato, la maggioranza si spaccherà certamente. E non rasserena gli animi, soprattutto del M5S, il sì annunciato da Matteo Salvini allo scudo penale. Toccherà al governo, invece, intervenire. Trovando prima un accordo al suo interno e mettendo in campo un decreto ad hoc, che non comporti solo lo scudo penale ma anche una serie di misure per l’ex Ilva e, forse, anche per il rilancio di Taranto. Non è detto che per ArcelorMittal basti ma Conte è intenzionato a «fare di tutto». Incluso convincere personalmente i parlamentari M5S più riottosi. Nel Movimento l’agitazione è ai massimi livelli. Barbara Lezzi, oggi, in un video su facebook, torna a gridare il suo «no» e annuncia che, assieme ai colleghi pugliesi, porterà al premier una serie di proposte di soluzione. Proposte che, plausibilmente, non prevedono la permanenza di ArcelorMittal a Taranto. Ma anche nel Movimento c’è chi, silenziosamente, lavora ad una mediazione. Alla Camera, in particolare, alcuni pentastellati stanno lavorando ad una proposta che, senza neanche citare la parola scudo penale, valga erga omnes e interpreti, di fatto l’art 51 del codice penale, che stabilisce la non perseguibilità per chiunque adempia un dovere o un obbligo stabilito dalla legge (nel caso di A.Mittal il piano ambientale normato con un Dpcm nel 2017). Di Maio, in questo contesto, tiene fermo il «no» allo scudo. Ma certo, lo stop del leader M5S (che uno scudo parziale lo aveva inserito nel dl imprese) potrebbe pragmaticamente ammorbidirsi di fronte alla necessità di salvare l’ex Ilva. E a quel punto, chi nel M5S voterà contro un decreto ad hoc voterà contro il suo stesso governo.