Per l’Europa Matteo Salvini andava fermato: troppo alto (e quindi «pericoloso») il suo consenso popolare e quello della Lega, e soprattutto Bruxelles voleva un governo amico. È la tesi di Giancarlo Giorgetti che interpreta così i difficili giorni di agosto per l’ex vicepremier, fino alla crisi politica. Per il sottosegretario del governo gialloverde, il ‘capitanò fu vittima di una sorta di complotto. Obiettivo della Ue, «sterilizzarlo». Ma il suo carisma non è scalfito e oggi lo condivide con ‘altro Matteo, «piaccia o non piaccia». Quindi in un’intervista a ‘Mezz’ora in più’ su Raitre, Giorgetti azzarda: «Chissà che alle prossime elezioni non avremo una sfida Salvini-Renzi». Il numero due della Lega torna alla fine dell’estate, analizzando «una concatenazione di avvenimenti» e porta oltre i confini italiani la regia del cambio di maggioranza. «Qualcosa doveva essere fatto per sterilizzare Salvini e il voto degli italiani, e per mettere su un governo amico dell’Europa». La conferma sta nei tempi, «nel momento in cui Conte doveva dimettersi intorno al 7-8 agosto – ricorda – e invece, aspetta la riunione di Biarritz..». Invece, guardando al presente Giorgetti sposta i riflettori su Renzi. Al momento sul ring, ammette, ci sono «due leader carismatici» ossia i due Matteo. E va oltre: tra l’ex premier e quello attuale «conta di più Renzi per il futuro del governo». Perché? «Conte non si dimetterà mai, mentre Renzi potrebbe farlo cadere», è la sua lettura. Del resto che molti gli riconoscano ancora ruolo e forza è lo stesso Renzi a dirlo: parlando del suo nuovo partito in un’intervista al Foglio, non teme di dire che Italia viva «sarà una rivoluzione», spiegando che «a bassa voce nei palazzi della politica lo ammettono tutti: chi con entusiasmo, chi con terrore». Intanto nel presente della Lega c’è una sua battaglia clou, che potrebbe ricompattare il centrodestra. Tra poche ore verrà depositato il quesito per il referendum sulla legge elettorale, che ha promosso per eliminare la parte proporzionale dal Rosatellum. Sarà l’altro alfiere storico del partito, il senatore Roberto Calderoli ad accompagnarlo personalmente in Cassazione alle 11. Ufficialmente però, e come prevede la Costituzione, sono le Regioni a chiederlo. Otto quelle ‘strappatè alla causa ma ne bastavano 5. A Veneto, Lombardia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte si sono aggiunte Abruzzo, Liguria e Basilicata. Poi toccherà alla Corte costituzionale decidere se il referendum è ammissibile o no. «Noi offriamo a 60 milioni di italiani la possibilità di scegliere una legge elettorale certa, efficiente, moderna: chi prende un voto in più, vince e governa», insiste Salvini da Bologna. E ai più scettici sulla fattibilità di un fronte unico con Silvio Berlusconi e Fratelli d’Italia, manda a dire: «Abbiamo dimostrato con il referendum per il maggioritario, di esserci». In realtà sul referendum la leadership di Salvini sugli alleati è evidente, visto che FI ha piegato la testa in alcuni consigli regionali superando le riserve iniziali di Berlusconi, che preferiva una legge con una parte proporzionale. E comunque per un giorno né Salvini né Giorgia Meloni hanno infierito sulle bordate del Cav contro «fascisti e Lega che non vincono senza FI». Una tregua dettata dal compleanno di Silvio, entrambi infatti gli hanno fatto gli auguri per i suoi 83 anni.