Roma, la dott.ssa Delia Goletti direttore della UOSD Ricerca Traslazionale dell’INMI Spallanzani

IL PUNTO/ Parla la dott.ssa Delia Goletti, direttore della UOSD Ricerca Traslazionale dell’INMI Spallanzani

Come arrivare ad una medicina di precisione dando ai pazienti la terapia di cui hanno bisogno e riducendo il numero delle persone trattate in modo improprio. La mission dell’unità è quella di trasferire le conoscenze acquisite dalla ricerca di base alla clinica delle malattie infettive al fine di migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti. Dalla tubercolosi all’Hiv a SARS-CoV-2, le grandi vittorie dell’Istituto

 di Giulio Terzi

La medicina traslazionale trasforma le scoperte scientifiche provenienti dagli studi di laboratorio, clinici o di popolazione in nuovi strumenti clinici e applicazioni che migliorano la salute umana riducendo l’incidenza, la morbilità e mortalità delle malattie. All’interno dell’INMI Spallanzani opera una UOSD Ricerca Traslazionale che ha appunto come mission quella di di trasferire le conoscenze acquisite dalla ricerca di base alla clinica delle malattie infettive al fine di migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti. Ne parliamo con la responsabile della struttura, dott.ssa Delia Goletti.

Lo Spallanzani è un IRCCS, un Istituto di Ricovero e cura a carattere scientifico dove la ricerca è protagonista e le relative acquisizioni vengono trasferite alla cura e alla assistenza dei pazienti. La sua UOSD di Ricerca Traslazionale aggiunge qualcosa in più a questo concetto?

La ricerca traslazionale cerca di identificare dei biomarcatori di malattia e di proporre terapie dirette all’ospite. La UOSD di Ricerca Traslazionale ha generato evidenze per il disegno di biomarcatori immunologici di diverse malattie infettive come tubercolosi, COVID-19, Echinococcosi cistica. Si sono anche sperimentate e proposte terapie dirette all’ospite per la tubercolosi e COVID-19.

Ci indichi le ricerche di maggior spessore in questo momento e la loro traduzione pratica.

La UOSD di Ricerca Traslazionale ha contribuito a generare evidenza, poi utilizzata per la messa a punto di test diagnostici ora in commercio. Per esempio, abbiamo dimostrato che la rilevazione sierica di un fattore immunologico chiamato IP-10 è un utile marker di attivazione cellulare rilevabile in malattie infettive batteriche come la tubercolosi, o virali come COVID-19; attualmente la misurazione di IP-10 è inserita all’interno di una triade di fattori usati per un test di screening per le malattie respiratorie in ambito pediatrico. Inoltre, caratterizzando la risposta immune adattativa al M. tuberculosis, abbiamo evidenziato il contributo delle cellule T CD8 soprattutto nelle fasi replicative del patogeno; attualmente la rilevazione della risposta T CD8 è inserita all’interno di test diagnostici per la diagnosi di infezione latente tubercolare.  Abbiamo anche caratterizzato la risposta immune T adattativa a SARS-CoV-2 nella malattia COVID-19 o dopo vaccinazione. Siamo stati tra i primi nel mondo a valutarla nella sua complessità in una piattaforma su sangue intero che permette una rapida applicazione per test commerciali. In particolare, abbiamo dimostrato la presenza di questa risposta fin dai primi giorni dopo l’esposizione a SARS-CoV-2, la consistenza della risposta al ceppo ancestrale ed alle sue varianti, il loro deficit associato a terapie immunomodulanti come quella del fingolimod usato per la sclerosi multipla. Attualmente, sulla base di queste evidenze, esistono test standardizzati commerciali per il rilevamento della risposta T a SARS-CoV-2.

Nell’ambito di nuovi approcci terapeutici diretti all’ospite ci siamo focalizzati su farmaci inibitori di JAK (baricitinib) usati in reumatologia e sulla cisteamina usata per la cistinosi, malattia genetica che porta a insufficienza renale. Abbiamo dimostrato tra i primi al mondo, l’importanza della terapia con baricitinib per COVID-19, attraverso un trial clinico condotto dal prof. Fabrizio Cantini, e con studi in vitro. Attualmente baricitinib è un trattamento standardizzato per COVID-19. Attraverso i prof Mauro Piacentini e Gian Maria Fimia, scienziati di livello internazionale e consulenti di INMI, abbiamo conosciuto la cisteamina che ha tra le varie attività quella di promuovere il processo autofagico e di contribuire ad una efficiente risposta immunitaria. Abbiamo utilizzato la cisteamina in sistemi in vitro dimostrando che riduce la replicazione di M. tuberculosis solo se usata in sistemi in cui le cellule (i macrofagi) sono infettate; diversamente il farmaco non riduce la replicazione del patogeno. L’azione è quindi quella di un farmaco diretto all’ospite (al paziente), in quanto agisce attraverso l’induzione di una risposta delle cellule immunitarie del paziente al fine di eliminare i patogeni. Questo approccio terapeutico è diverso rispetto a quello tradizionale di somministrazione di antibiotici ed antivirali che agiscono direttamente sul patogeno ed ha il vantaggio di non generare resistenza farmacologica, aspetto rilevante per la gestione attuale delle malattie infettive. Abbiamo raggiunto questi risultati in collaborazione con il prof. Giovanni Delogu dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Questi dati hanno aperto la possibilità per un trial clinico per la tubercolosi sull’uomo che partirà a breve nel nostro istituto sotto la direzione del dott. Fabrizio Palmieri.

Forti di questi risultati, con l’avvento del COVID-19, il nostro lab ha valutato se la cisteamina avesse un effetto contro SARS-CoV-2.  Abbiamo dimostrato che questo farmaco ha almeno 2 effetti utili sul COVID-19: un effetto antinfiammatorio ed un effetto antivirale riducendo in vitro la replicazione di SARS-CoV-2. L’effetto antivirale include anche le varianti delta ed omicron. La concomitante attività antivirale ed antinfiammatoria ha aperto la possibilità per un trial clinico della cisteamina contro COVID-19 sull’uomo che partirà nel nostro istituto sotto la direzione del dott. Emanuele Nicastri. Lo studio sarà finanziato dai fondi vinti nel bando di Ricerca Finalizzata e del 5×1000.

Questi progetti sono un chiaro esempio di come conoscenze provenienti dal mondo della ricerca di base della immunologia o dell’autofagia, siano state trasferite ed elaborate nel laboratorio di Ricerca Traslazionale, e quindi alla clinica.

Nel campo delle malattie infettive ogni passo avanti nella ricerca applicata può portare enormi benefici nella pratica. Tra le patologie delle quali si occupa lo Spallanzani quali sono quelle che dalla ricerca hanno maggiori sviluppi pratici, traggono maggiori benefici.

La tecnologia a mRNA utilizzata per la sintesi di vaccini anti-COVID-19, può essere usata anche in altri contesti, come la tubercolosi. La Biontech, la ditta che ha generato questa tecnologia per cui è stato dato il Nobel 2023, ha infatti lanciato un progetto per la generazione di un vaccino contro la tubercolosi. I risultati saranno fondamentali per capire se possiamo ridurre i 10 milioni di casi di tubercolosi e di 1.5 milioni di decessi registrati annualmente.

La tecnologia che usa i fagi offre grandi opportunità. I fagi sono dei virus che attaccano in modo specifico le cellule batteriche, non quelle umane, riproducendosi al loro interno e provocando la morte del batterio stesso. Questo approccio può essere utile per malattie batteriche persistenti con effetti invalidanti sulla vita del paziente per la mancata risposta alle terapie antibiotiche. In ambito diagnostico, ci sono risultati utili per la diagnostica tubercolare permettendo di rilevare quantità minime di patogeno non rilevabili con le metodiche attuali ed indicative di progressione rapida a malattia.

Parliamo del futuro, sempre nell’ambito del suo campo. I progressi della ricerca scientifica hanno fatto miracoli. Vaccini e non solo. Cosa si aspetta per il futuro?

Mi aspetto che con adeguati finanziamenti potremmo fare avanzamenti per la terapia diretta all’ospite al fine di avere farmaci che blocchino le infezioni, in associazione a quelli diretti contro i patogeni. Mi aspetto avanzamenti nell’ambito dell’epigenetica e delle varie “omiche” che porteranno alla identificazione di biomarcatori immunologici utili alla prevenzione e diagnosi delle malattie infettive supportando i test microbiologici e virologici. I risultati di questi studi saranno usati a scopo clinico per arrivare ad una medicina di precisione dando ai pazienti la terapia di cui hanno bisogno e riducendo il numero delle persone trattate in modo improprio, la resistenza farmacologica ed i costi ad essa attribuibili includendo la sofferenza del paziente, la spesa terapeutica, e la degenza ospedaliera.

Per gentile concessione de Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio

Edizione n. 74 del 11 ottobre 2023