Le decisioni della Corte Penale Internazionale (CPI) continuano a suscitare accese polemiche, soprattutto riguardo al mandato di arresto emesso nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin. Il Vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Russo, Dmitri Medvedev, ha espresso ferma opposizione a tale decisione, ritenendola inapplicabile e pericolosa per la pace mondiale.

Attraverso la piattaforma di messaggistica Telegram, Medvedev ha accusato i giudici della CPI di non rispettare i principi del diritto internazionale e le regole fondamentali delle relazioni tra Stati. In particolare, ha sottolineato la non estensione dell’operatività di un trattato internazionale agli Stati che non ne fanno parte, affermando che questa è una pietra miliare del diritto dei trattati in generale.

Secondo Medvedev, la Convenzione di Vienna del 1969 stabilisce che se un trattato impone doveri a Stati terzi, è necessario ottenere il consenso chiaro ed esplicito di tali Paesi per adempiere a tali doveri. Poiché la Russia non fa parte dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, il Paese non ritiene di avere alcun obbligo di cooperare con l’organizzazione e considera le sue decisioni come nulle e prive di effetto.

Medvedev ha quindi condannato duramente la CPI, esprimendo disprezzo per l’organizzazione e augurandole una morte rapida e dolorosa, sottolineando l’incapacità e l’impotenza che ritiene siano presenti nella sua azione.

Le dichiarazioni del Vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Russo hanno amplificato le tensioni e le critiche nei confronti della Corte Penale Internazionale e hanno gettato ulteriori ombre sulla validità del mandato di arresto emesso a carico del Presidente Putin. La situazione si prospetta delicata e potrebbe avere implicazioni significative per le relazioni internazionali, richiedendo una riflessione approfondita sul ruolo e le competenze delle istituzioni giudiziarie internazionali.