IN PRIMO PIANO/ L’ennesima lezione dal tragico caso di Giulia Cecchettin

Di Giovanni Tagliapietra

Scrolliamoci di dosso la retorica, i grandi proclami, le fiaccolate e le grandi dimostrazioni di dolore collettivo. E proviamo invece a rimboccarci le mani. Lo dobbiamo a Giulia Cecchettin e a tante altre donne che come lei hanno perso la vita per la tragica miopia del sistema Italia, per la incapacità di impedire che queste terribili vicende si consumino ogni giorno attorno a noi.  Si è fermato attonito il paese, le televisioni sono state intossicate da commenti, analisi. E lo saranno per giorni, prima di sfumare in un imbarazzante nulla di fatto. La politica ha denunciato,  ha preso impegni solenni. L’assassinio di Giulia ha ferito tutti, ma il modo migliore di ricordarla, di farla in qualche modo rivivere è quello di chiudere in fretta il teatrino mediatico e di cercare soluzioni. Colpa della famiglia, colpa della scuola, della società che non sa cogliere il disagio, degli uomini che non sanno accettare il rifiuto? Siamo tutti  complici nella vicenda che ha portato la ragazza veneta al martirio, bella affermazione che dà a tutti la sensazione di aver assolto un compito e di poter archiviare il caso
Forse è il caso di abbassare i toni e di ragionare con una buona dose di umiltà e di buon senso. Il controllo del paese, a tutti i livelli, sta sfuggendo di mano e non abbiamo la minima idea di come si possa raddrizzare la situazione. Femminicidi? Ma non solo. Stupri, violenze di ogni tipo.  Chi uccide, ce lo fanno scoprire il giorno dopo le cronache, nasconde gravi problemi, psichici e/o comportamentali che siano. Molto spesso è un immigrato a disagio nel vivere una realtà sociale così lontana dalle sue origini.  E dietro, intorno ad ogni omicida (uomo o donna che sia) c’è qualcuno che sapeva qualcosa, che sospettava, ma che non pensava che quei disagi di vivere avrebbero portato al disastro, alla tragedia. Il che porta ad una serie di riflessioni, di conclusioni.  Tutte queste vittime si sarebbero potute evitare se esistessero un sistema di controllo sociale e clinico e un processo educativo collettivo che aiutasse ad individuare segnali e campanelli d’allarme e ad intervenire, ad anticipare le emergenze, l’irreparabile.
Due autentiche chimere, per come vanno le cose oggi. Non si tratta di psicanalizzare un paese, di dare lavoro ad un esercito di psichiatri, di psicologi, assistenti sociali, ma di cercare di curare le cause dei fenomeni che stanno portando la società italiana verso una pericolosa deriva. E’ la salute mentale del paese che è a forte rischio. E mai come forse in questo momento il distacco tra la realtà degli italiani  e il governo del paese, le istituzioni tutte è stato così abissale. Tra problemi economici (gravissimi), occupazionali, sociali ( l’immigrazione selvaggia ha fatto saltare molti equilibri), sanitari è molto difficile non perdere la testa, la tensione, una sorta di violenza sotto traccia si respira nell’aria. E’ l’intera organizzazione sociale ad andare a gambe all’aria. E tutti noi, consapevolmente o inconsapevolmente nascondiamo le cose scomode sotto il tappeto, non avendo soluzioni e vivendo di corsa in un mondo freddo, ostile, ma frenetico e ci convinciamo che la cosa più importante sia sopravvivere ad ogni costo. Le famiglie non sono più quelle dei nostri padri e dei nostri nonni, e tanto meno le scuole e gli insegnanti. Sono cambiati i media, aggressivi e superficiali, è superficiale e sguaiata la televisione, i new media e i social hanno fatto esplodere mille contraddizioni e ci hanno portato in un una dimensione metafisica.
Da tempo chi si occupa di salute mentale lancia messaggi angosciati, appelli disperati. La percentuale di soggetti a forte rischio da questo punto di vista crescono con progressione geometrica e non c’è verso di fronteggiare il fenomeno. Mancano le risorse, manca una politica, manca una strategia preventiva, di controllo e di contrasto. Ancora, vanno deserti gli appelli su quello che sta accadendo nel mondo giovanile. Facciamo finta di niente, ma quella realtà sta esplodendo senza che si faccia nulla di serio per gestire  la situazione. Disagio giovanile, lo chiamano, ma sta diventando molto di più e molto di peggio. Inutile mettere in fila risse, bullismi, tentativi di suicidi, difficoltà crescenti del sistema scolastico ed educativo, dove i docenti sono spesso ostaggio di studenti e genitori.

Servono leggi nuove? Certo che sì, ma serve anche un approccio diverso alla questione e la presa di coscienza che il collasso del sistema è dietro l’angolo senza un intervento deciso e in tempi brevi.  Siamo partiti dalla povera Giulia, e dalle centinaia di Giulia che hanno perso la vita in questi mesi, in questi anni, perché nessuno aveva capito in tempo cosa sta va succedendo. Dopo aver visto il sangue innocente tutti sono disposti a confessare davanti a microfoni e telecamere che sì, qualcosa di strano, qualcosa che non andava lo avevano intuito. Ma farsi gli affari degli altri…. È tutta un’altra questione. I femminicidi sono punti di arrivo di situazioni che nessuno ha controllato e gestito. Un tempo il controllo sociale da parte della comunità era potente, oggi tutti viviamo atomizzati, sono apparentemente parte di un gruppo. Le forze dell’ordine hanno le mani legata da leggi stupide e da magistrati superficiali, i servizi sociali e sanitari sono approssimativi, inefficienti, burocraticamente rallentati da un sistema amministrativo che fa acqua da tutte le parti.  Quindi i violenti non vengono controllati a dovere, i soggetti psichiatrici vengono buttati fuori dagli ospedali dopo una settimana, strutture ad hoc per tenerli fuori dai guai non esistono. Serve un’intesa tra chi ha in mano gli strumenti per cambiare le cose, per mettere tutti sul chi vive, spiegare e convincere. Servono leggi e fondi, non commissioni di esperti. Serve una Tv che educhi dovunque sia possibile e che soprattutto non diseduchi. Serve fare in modo che chi ha la possibilità di influire sui comportamenti lo faccia. Non ci sono molte alternative