Lo scrittore russo Zakhar Prilepin, sopravvissuto a un attentato ieri, è uscito dal coma farmacologico. Lo riferisce la Tass citando la portavoce dello scrittore, Yelizaveta Kondakov. “Sta bene, considerata la situazione. Ha mandato i suoi ringraziamenti alla famiglia”, ha detto la portavoce.

Le stesse informazioni sono state confermate da un post su Telegram del governatore della regione di Nizhny Novgorod, Gleg Nikitin, che ha scritto: “Sulle condizioni di Zakha: è uscito dal coma farmacologico ed è cosciente. I medici dicono che è stabile”.

Il terzo attentato in poco più di otto mesi ha preso di mira un protagonista dei media russi tra i più attivi nel sostegno all’intervento in Ucraina. Questa volta il bersaglio, lo scrittore Zakhar Prilepin, è rimasto solo ferito da un ordigno che ha semidistrutto la sua automobile, mentre il suo autista e guardia del corpo è stato ucciso.

Pochi minuti dopo l’attentato gli inquirenti hanno arrestato un uomo, che avrebbe confessato di esserne l’autore e di avere operato su istruzioni dei servizi segreti di Kiev. Il sospetto, identificato come Alexander Permyakov, avrebbe confessato di avere posto un ordigno sulla strada che l’auto di Prilepin doveva percorrere in un villaggio circa 400 chilometri ad est di Mosca, e l’ha fatto saltare in aria con un congegno a distanza al passaggio della vettura. Il reato per cui si indaga è quello di “terrorismo”.

Ma la diplomazia russa ha chiamato in causa anche gli alleati occidentali dell’Ucraina: gli Usa e la Gran Bretagna hanno una “responsabilità diretta” nell’attentato, ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova. Kiev ha negato ogni responsabilità.

Il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak ha anzi accusato gli stessi russi di essere dietro l’attentato, in un crescendo repressivo di quello che chiama “il clan di Putin”, che prenderebbe di mira ogni possibile fonte di dissenso anche tra i sostenitori dell’intervento in Ucraina.

Un copione già visto, insomma, in occasione dei precedenti attentati. Quello dell’agosto dello scorso anno vicino a Mosca quando era rimasta uccisa da un’esplosione sulla sua auto la giornalista Darya Dugina, figlia del filosofo nazionalista Alexander Dugin; e quello del mese scorso in un caffè di San Pietroburgo, dove il blogger e corrispondente di guerra Vladlen Tatarsky (al secolo Maxim Fomin) ha perso la vita nell’esplosione di una statuetta-bomba.

Mosca ha accusato l’Ucraina e gli Usa anche per i due droni esplosi la notte tra martedì e mercoledì sul Cremlino.